In un’epoca lontana, talmente lontana che possiamo solo azzardare delle ipotesi su come si vivesse a quei tempi, una tribù di cacciatori subisce un attacco da parte di predoni intenzionati a fare incetta di schiavi. Uno di loro partirà alla volta dei suoi compagni, per riportarli a casa e ricongiungersi con la sua amata.
A spiegare 10.000 AC non ci vuole granché. La struttura narrativa è talmente semplice che potrebbe averla scritta chiunque abbia visto un paio di film d’azione. Il bene contro il male, due amanti separati, e uno scontro finale che non ha nemmeno l’ombra del sensazionale.
Non ne farò questione di inesattezza storica: quella raccontata nel film è un’epoca di cui possediamo così poche tracce che in fondo è anche lecito procedere d’immaginazione. Non è neanche un problema di risorse, benché sia evidente che i produttori non abbiano messo a disposizione budget stratosferici. Una regola però è sempre valida: quando i fondi sono pochi, basta avere una grande idea. O al limite dei grandi attori.
Qui non si vede né l’uno né l’altro. Può sorprendere il modo in cui alla fine tutto si ricolleghi agli antichi egizi e alla costruzione delle piramidi, ma è l’unico guizzo che si veda in un’ora e mezza di film. Il resto è preso un po’ qua e un po’ là: dagli uomini primitivi truccati come gli aborigeni australiani alle tribù che scimmiottano gli africani di oggi, cacciatori con i dreadlocks ai capelli e sacerdoti che assomigliano alla parodia di quel che dovrebbero essere. Non si sa come, non si sa perché.
Dimenticate il Roland Emmerich di Independence Day. La trama è di quelle che non lasciano spazio all’immaginazione, che si sa già dal principio per chi tifare e come si concluderà. Speri quasi che lei finisca con un altro, o che li ammazzino entrambi. Invece nulla. Storia piatta come i due che la interpretano. E se sperate che il felino coi denti a sciabola, quello che si vede anche nel poster, abbia un ruolo determinante, vi tolgo da subito ogni illusione: è soltanto pubblicità ingannevole.
VOTO: 2